Narnia: l’origine di un mondo
“Vi fu un tempo in cui facevi domande perché cercavi risposte, ed eri felice quando le ottenevi. Torna bambino: chiedi ancora.” C. S. Lewis (1898-1963), autore delle Cronache di Narnia.
Quando C.S. Lewis scrisse il primo volume delle cronache di Narnia, dal titolo “Il leone, la strega e l’armadio”, mai si sarebbe immaginato che la sua storia sarebbe entrata nei cuori e avrebbe suscitato la curiosità dei lettori in tal modo. Un volume tirò l’altro, quasi come se Lewis non stesse tirando fuori quei racconti dalla sua fantasia, ma stesse davvero parlando di un mondo lontano ma reale.
Scrivere un libro non è mai una cosa semplice, ma se, oltre alla trama, dalla nostra penna deve uscire anche un mondo fantastico, che sia credibile e coerente nella sua irrealisticità, tutto si complica. Ed è proprio ciò che fa il nostro autore. Il mondo di Narnia appassionò talmente tanto i lettori, che venne chiesto a Lewis di raccontare la sua nascita. E da qui nacque per il sesto romanzo fantastico della serie, “The Magician’s Nephew”, ovvero “Il nipote del mago”.
Innanzitutto è bene parlare dei protagonisti di quest’opera, che non sono i fratelli Pevensie, ma un giovane Digory Kirke, il professore che accoglierà i quattro ragazzi nel primo libro, e Polly Plummer. Loro due possiamo attribuire la vera scoperta di quella che diventerà Narnia, poiché nasce sotto i loro occhi. Dopo diverse peripezie, i due saltano in un lago del mondo tra i mondi, e raggiungono un posto nuovo, dove odono un dolce canto, e osservano come, man mano che la canzone va avanti, il leone trasformi la terra deserta, come tutto prende forma: l’erba si tinge di verde, gli alberi crescono dal suolo, i corsi d’acqua iniziano a scorrere, le montagne si innalzano, e poi vengono gli animali, i centauri, i satiri, e tutti, dopo aver ricevuto il soffio vitale di Aslan, non sono dotati solo di vita, ma di pensiero, di anima.
Una creazione che ricorda quella che troviamo nel libro della genesi, ad esclusione del fatto che l’uomo non è creato lì, ma proviene da un mondo completamente diverso. Questo non è l’unico elemento biblico a cui Lewis, tra l’altro, teologo anglicano, si ispira per fondare il suo mondo: in un’altra scena del libro viene si rievoca la scena del peccato originale, quando Jadis, la strega del primo libro, proprio come il serpente cerca di far mangiare una mela a Diggory, che però rifiuta prontamente l’offerta. Un’opera leggera, spesso ironica, ma dal forte significato simbolico, che ancora una volta ci dimostra che “un libro che non merita di essere letto a dieci anni non merita di essere letto nemmeno a cinquanta”, e che le storie e le fiabe più semplici, che ci parlano di valori, sono le uniche che possono davvero dare qualcosa in più alla nostra anima.
Chiara Morelli
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