Le origini della Taranta: la danza che curava i morsi del ragno
La “taranta” è una danza popolare italiana che ha origini antiche e misteriose. Si dice sia nata come rimedio contro il morso della tarantola, un ragno velenoso che provocava spasmi e convulsioni.
Per curarsi, le vittime dovevano ballare a ritmo frenetico fino allo sfinimento, accompagnate da musica e canti.
Ma sapevate che il nome di questa danza deriva proprio dalla città di Taranto, dove io sono nata e cresciuta?
Oggi è diventata un simbolo della cultura e della tradizione del Sud Italia, e in questo articolo vi racconterò la storia e le caratteristiche di questa danza affascinante e coinvolgente, che fa parte della mia identità e delle mie radici.
Le origini del tarantismo sono incerte e dibattute dagli studiosi, che hanno avanzato diverse ipotesi basate su fonti storiche, mitologiche e antropologiche. Le prime testimonianze scritte del fenomeno risalgono al Medioevo, tra il IX e il XIV secolo, quando alcuni trattati medici attribuivano ad un tipo di musica l’antidoto al veleno della tarantola. Il nome del ragno e del rito deriverebbe proprio dalla città di Taranto, dove si riteneva che fosse diffuso il morso del ragno e dove si svolgevano le prime danze terapeutiche. Si trattava di una sorta di esorcismo popolare che coinvolgeva soprattutto le donne, che si ritenevano morse da un ragno velenoso chiamato tarantola o taranta. Il morso provocava una serie di sintomi fisici e psichici, come convulsioni, paralisi, depressione, angoscia, isteria.
Il ragno era infatti considerato un simbolo del male, che poteva colpire chi aveva commesso peccati o trasgressioni, o chi era vittima di ingiustizie sociali. Per curare il tarantato si ricorreva alla musica e alla danza, che dovevano stimolare la sua reazione vitale e la sua catarsi emotiviva.
Alcuni studiosi hanno cercato di rintracciare le origini del tarantismo nella cultura greca antica, che aveva fondato diverse colonie nel Salento. Si è ipotizzato un collegamento con il culto delle menadi, le seguaci di Dioniso che si abbandonavano a danze estatiche e orgiastiche, o con il mito di Aracne, la giovane tessitrice che sfidò Atena e fu trasformata in ragno dalla dea gelosa. Altri studiosi hanno invece evidenziato l’influenza della cultura islamica, che entrò in contatto con quella cristiana durante le crociate, quando il Salento era una terra di transito per i cavalieri. Si è parlato di una contaminazione tra il rito della taranta e la danza dei dervisci, i mistici musulmani che giravano su se stessi per raggiungere l’unione con Dio.
Molto probabilmente è il frutto di una stratificazione di elementi culturali diversi, che si sono mescolati nel corso dei secoli.
Il rito della “taranta” aveva anche una dimensione religiosa, in quanto si svolgeva il 29 giugno, giorno dedicato a San Paolo, il santo protettore dei tarantati che si recavano in pellegrinaggio alla chiesetta di San Paolo a Galatina, dove venivano esposti al suono della musica sacra e dove bevevano l’acqua del pozzo miracoloso. Era quindi un modo per riconciliarsi con Dio, con se stessi, e la musica doveva essere adatta al gusto e al colore del tarantato, che variava a seconda del tipo di ragno che lo aveva morso. Il ritmo incalzante e ossessivo della musica stimolava i movimenti del tarantato, che si identificava con il ragno e cercava di liberarsi dal suo veleno attraverso la danza. La danza era spontanea e improvvisata, e poteva durare ore o giorni, fino a quando il tarantato non raggiungeva uno stato di catarsi ed esaurimento.
Il tarantismo era un modo anche per esprimere il malessere sociale ed esistenziale delle classi più povere e sfruttate del Salento, che vivevano in condizioni di miseria e oppressione e per sfuggire alla morale cristiana, alle convenzioni sociali, rivendicando una libertà corporea ed emotiva. Il rito della taranta era infatti carico di simboli e significati che rimandavano alla sessualità, alla fertilità, alla trasgressione, alla ribellione.
Il fenomeno del tarantismo ha attirato l’attenzione di molti studiosi e artisti, tra cui il famoso antropologo Ernesto De Martino, che nel 1959 condusse una ricerca sul campo documentando il rito con foto e registrazioni. Il suo libro “La terra del rimorso” è considerato un’opera fondamentale per la comprensione del tarantismo. Oggi il tarantismo è quasi scomparso come pratica terapeutica, ma è diventato un elemento di identità culturale e di attrazione turistica. Il festival “La notte della Taranta”, che si tiene ogni anno ad agosto a Melpignano in provincia di Lecce, è un evento musicale che celebra la tradizione della pizzica e della tarantella che ha saputo rinnovarsi e dialogare con altri generi musicali, come il rock, il rap, il jazz, il pop, mantenendo però il suo legame con le radici popolari e le sonorità tradizionali. La taranta è anche un simbolo di resistenza e di integrazione, che esprime i valori della terra, della comunità, della libertà, della diversità. La notte della Taranta è quindi una festa popolare e universale, che celebra la vitalità e la bellezza della taranta.
E come recita il cantante Vinicio Capossela nella sua famosa canzone “Il ballo di San Vito”, fatevi contagiare dalla taranta!
Elvira Nistoro
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