Il Destino dell’Oceano: Mancano solo 70 Anni a un Punto di Non Ritorno

di Chiara Morelli
L’oceano, spesso trascurato, è in realtà il vero “polmone blu” del nostro mondo, un ecosistema che, seppur non sempre sotto i riflettori, svolge un ruolo cruciale nel ciclo del carbonio. Sebbene le foreste siano fondamentali, il loro contributo al ciclo del carbonio è inferiore rispetto a quello degli oceani, che sono responsabili di un grande assorbimento di CO2, aiutando a mantenere l’equilibrio termico e chimico della Terra. In effetti, gli oceani coprono circa il 72% della superficie terrestre e rappresentano il più grande e antico ecosistema del nostro pianeta.
Una delle funzioni primarie dell’oceano è quella di regolare i cicli bio-geo-chimici, ossia i cicli della materia. L’oceano è infatti la maggiore riserva di carbonio (Falkowski et al., 2000) e svolge un ruolo fondamentale nel riassorbire i gas in eccesso nell’atmosfera, oltre a contribuire al bilanciamento termico globale. È proprio grazie all’oceano e ai microrganismi che lo popolano che la vita sulla Terra è cambiata. Circa 2,4 miliardi di anni fa, durante il Great Oxygenation Event, questi microrganismi iniziarono a produrre ossigeno come molecola di scarto, cambiando per sempre la composizione atmosferica e permettendo l’evoluzione della vita come la conosciamo oggi.

Ma ora tutto è a rischio. La geologa e paleontologa Elisabetta Erba, professoressa presso l’Università degli Studi di Milano, durante una conferenza all’Accademia Nazionale dei Lincei, ha lanciato un allarme: abbiamo solo 70 anni prima che gli oceani diventino di nuovo anossici. Questa preoccupante stima è stata ottenuta grazie allo studio delle rocce sui fondali oceanici. Dopo l’era industriale, la composizione chimica di queste rocce è cambiata, segnalando un ecosistema marino sempre più perturbato e vicino al cosiddetto tipping point, il punto di non ritorno.
Il raggiungimento di questo tipping point è legato all’aumento delle concentrazioni di anidride carbonica nell’atmosfera, che sta causando una diminuzione del pH oceanico tra 0,3 e 0,4 unità. Anche se questa variazione potrebbe sembrare piccola, si tratta di un cambiamento enorme dal punto di vista chimico, poiché il pH è una scala logaritmica. Questo fenomeno, noto come acidificazione degli oceani, ha conseguenze devastanti: riduce la concentrazione di ioni carbonato (Gazeau et al., 2013), con effetti dannosi su microrganismi, organismi marini e gli ecosistemi marini nel loro complesso.
Poiché in natura tutto è interconnesso, le ripercussioni di questo fenomeno si estenderanno a noi, influenzando l’economia e, a lungo termine, la nostra stessa sopravvivenza. Tuttavia, non tutto è perduto. Esistono azioni di risanamento che potrebbero invertire il processo e aumentare il pH degli oceani in modo efficace. Purtroppo, queste soluzioni comportano costi elevati che spesso i decisori politici non sono disposti a sostenere.
Fonti:
Gazeau, F., Parker, L. M., Comeau, S., Gattuso, J. P., O’Connor, W. A., Martin, S., … & Ross, P. M. (2013). Impacts of ocean acidification on marine shelled molluscs. Marine biology, 160, 2207-2245.
Falkowski, P., Scholes, R. J., Boyle, E. E. A., Canadell, J., Canfield, D., Elser, J., … & Steffen, W. (2000). The global carbon cycle: a test of our knowledge of earth as a system. science, 290(5490), 291-296.
Prof.ssa Elisabetta Erba, Convegno 15 marzo 2025, Accademia Nazionale dei Lincei
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