200 anni de L’Infinito di Leopardi

di Andrea Petriccione
Pubblicata per la prima volta sulla rivista milanese “Il Nuovo Ricoglitore” nel 1825, L’Infinito di Leopardi è un viaggio dell’anima ai confini del reale, un’eredità senza tempo che ancora oggi, nel 200esimo dalla sua prima pubblicazione, ci parla della fragilità umana e della potenza del mistero dell’esistenza.
Tutti hanno letto almeno una volta questo idillio: riscopriamolo insieme!
Nel 1819, in un piccolo paesello marchigiano che per nome ha Recanati, il poeta Giacomo Leopardi, che nella poesia e nella contemplazione della natura ravvisava un rifugio consolatorio e un’opportunità per indagare il significato dell’esistenza, componeva una delle liriche più iconiche della nostra letteratura: L’infinito (edita nel 1825 negli Idilli).

Più di duecento anni dopo, il suo canto continua a riecheggiare nel profondo di chi lo legge, rivelando una capacità unica di colloquiare con l’ousia dell’essere umano anche in relazione all’eterno: ancora oggi questo componimento, da vero classico, pur radicato nella cultura romantica dell’epoca, sebbene estraniato dal suo tempo di provenienza, sa trasmettere un valore ai suoi lettori toccando il cuore e parlando a noi contemporanei che ci confrontiamo con un’opera, per l’epoca avanguardista e quindi oggi moderna, emblema della fragilità e della grandezza anche dell’uomo contemporaneo, con un’attualità sorprendente.
Difatti il valore de L’infinito non risiede solo nella sua bellezza o armonia formale (contraddistinta per un andamento musicale scandito da un gioco di mille raffronti in un viaggio mentale e emotivo), ma nella straordinaria capacità di Leopardi di trasformare il particolare nel generale ossia “un’esperienza personale, contemplativa e intima in una riflessione universale”.
L’Infinito
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m’è dolce in questo mare.
La siepe che “da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”, dalla dimensione più sensoriale, diviene simbolo della limitatezza della condizione umana da superare per un desiderio insanabile e assieme slancio e catalizzatore per un volo immaginativo che spalanca le porte dell’infinito, verso orizzonti immensi e sconfinati, ai limiti del metafisico, in un tempo proteso verso l’eterno.

E, dunque, la sua riflessione filosofica senza tempo circa uomo, tempo, natura e infinito si fa universale trascendendo la sua epoca, continuando con lucida sincerità a scandagliare e interrogare gli animi dei lettori di oggi con la stessa energia del passato, nel mistero dell’esistenza tra malinconia e meraviglia, tra consapevolezza dei limiti e tensione verso l’illimitato.
In un’epoca prettamente scientista, L’infinito ci ricorda che ci sono dimensioni dell’esistenza ineffabili: il pensiero, l’immaginazione, l’eterno. Oggi come allora, Leopardi ci invita a chiudere gli occhi, a immaginando in quella “immensità” che è, per tutti noi, motivo di “dolce naufragare”.
In un mondo frenetico come l’odierno dove sono esigue le pause di riflessione, leggere Leopardi è un atto di coraggio: è un invito alla lentezza, all’ascolto e in ultima istanza alla contemplazione. In un mondo caotico, Leopardi ci ricorda il valore di quel prezioso tesoro che è il silenzio, momento per avvedersi del pensiero e intrattenere un dialogo intimo con la natura. In un mondo dominato dalla tecnologia, dove la creatività è pressoché al bando, Leopardi ci ricorda quale pregio è la capacità di travalicare il visibile con la mente e di individuare, anche nei limiti, una possibilità per spingerci oltre.
Ci mostra come sia fattibile da ottimi viaggiatori interiori trovare l’eterno dentro di noi, nell’immaginazione che ci avvicina all’assoluto e nello stupore derivante dalla relazione con la natura e i suoi misteri e ci ricorda che, nonostante la nostra piccolezza, c’è una sempreverde bellezza nell’aspirazione umana verso un di più. Leopardi, con la sua malinconica acutezza e il suo streben, ci invita ancora oggi a riconoscere la bellezza che si cela nei nostri limiti alla luce di una grandezza del pensiero che li supera. In tal senso, L’infinito ci testimonia la forza senza tempo della poesia e la sua capacità di illuminare l’animo umano.
Così, nel frastuono del presente, la lezione leopardiana ci suggerisce di fermarci, di ascoltare il silenzio e di lasciare che l’immaginazione ci conduca verso orizzonti inesplorati. E in questo dolce naufragare, forse, possiamo riscoprire il senso più autentico della nostra esistenza: il desiderio infinito di comprendere e di sentire, di perderci per ritrovarci, di contemplare per esistere davvero.
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